Non trovo più plausibile che dal prossimo futuro “fare qualcosa da remoto” – sia esso lavorare o un corso di studi o una qualsiasi occasione di fare cose insieme – venga visto come inaccettabile o un piano B, in alcuni casi perfino una “gentil concessione”.
Questi mesi di covid19 hanno dimostrato che non ci siano limitazioni di natura tecnica, che il 99% dei lavori d’ufficio, la didattica e perfino gli aperitivi, a distanza non solo sono possibili ma in molti casi siano di gran lunga superiori dal punto di vista logistico e pratico.
Certo che gli spargifumo e gli affetti da micromanagement non vedranno l’ora di tornare in un ufficio, dato che lavorare in modalità distribuita li espone troppo alle loro stesse debolezze organizzative e produttive.
Bisogna quindi spingere nella nostra pratica quotidiana per cambiare l’ordine delle cose, far diventare normale questa modalità di lavoro e di fruizione di svariate attività, non per avere una società di immobili, ma per ridistribuire la vita in orari e luoghi meno concentrati.
La normalità di un mondo distribuito infatti non coincide con il lockdown di questi mesi, ma deve andare a stabilizzarsi per convivere in una piena fruizione degli spazi pubblici e della socialità personale, che potrà rinascere finalmente nel territorio dove si abita, smantellando così progressivamente il concetto di zone dormitorio.