my current consultancy position may assume several and curious job titles, if you look around
anyway the most used out there is “devops engineer”, which sounds weird to actual software engineers
starting from here, you get a world of so many quaint job titles that you can’t imagine
most of them require you to think some minutes about the real meaning, what they’re doing in real life is not so easy to understand
but in my case, DevOps is not a thing you have to create, manipulate or think about, it’s a methodology
a lot of people claimed that being an engineer of a methodology is inappropriate and they’re right, from a language point of view
but living language and, above all, sloppy head hunters’ lists of skills and requirements, have overtaken good intentions
cases of something
it gets quite difficult to understand that a “Customer Engineer” is not a person who designs “customers”, but an engineer dedicated to a specific customer (or a restricted set of)
(and yes, I like writing in English and Italian both, it’s up to you, reader, to decide, if you feel bothered or not)
This year I had the possibility of choosing among good talks with calm and it paid off honestly…
On the organisational side, I have to say it got worse… food was extremely below the expectations, I really can’t find the match for a (not-so-little) paid event. Moreover, staff at the room corners seem to know nothing about organisation matters and I was a bit astonished.
Anyway, I can say a little about the talks…
Building Stateful Clustered Microservices with Actors and Kubernetes – Hugh McKee
I couldn’t attend the whole talk, but I found it very interesting, since I don’t have a deep knowledge of Akka, while I obviously knew Kubernetes, so the application was very attractive.
Java Migrating to 11 in real app – Poitr Przyby
This talk seemed a bit sciolistic but… the guy was a good performer!
It could be boring to hear a long list of a language features, which are changing from a major release to another, so the speaker should entertain the audience and keep it awaken 🙂
Piotr threw some Polish jellyfish packs to people answering his questions
Deploying Go Functions – Julien Bisconti
I didn’t appreciate very much this talk, because the actual part I wanted to see at work – the FaaS deploy system – has not actually been showed more than twice and very slightly.
A pity.
Combining Serverless Continuous Delivery with ChatOps – Viktor Farcic
He simply worths theticket.
I didn’t really want to attend CodEmotion this year, but when I saw that there was Viktor – an amazing person I knew in Amtersdam, attending a CloudBees course – I changed my mind.
He showed the present and the future of Jenkins X, a promising project which is evolving under the hood and it will change the way we look at CI/CD with the Jenkins family (actually it’s not Jenkins anymore!)
Second day
The Life of a Packet Through Istio – Matt Turner
An illuminating talk that showed the Istio components and how they manage the east-west networking inside a kubernetes cluster
Se provi ad avvicinarti al fondo della banchina e a guardare le gallerie da vicino, ti apparirà evidente il distacco di luci come tra due mondi diversi
ai tuoi occhi il contrasto tra i due scenari ti apparirà come in un teatro, posizionandoti in platea sul bordo del palcoscenico per scorgere le quinte
tu sei in platea, la galleria le quinte, la carrozza è il palcoscenico dove va in scena il tuo viaggio
viaggio a volte freddo, altre bollente e maleodorante, quasi sempre in piedi, e qualche volta con emozionanti frenate che ti scaraventano addosso agli altri.
Spesso chi lavora nell’informatica o in professioni contigue (social media marketing, commerciali IT, etc.) “spara” dei termini italiani che sono traduzioni “a orecchio” da una parola inglese il cui significato esatto non coincide proprio con quello immaginato… è una versione contemporanea dei cosiddetti “false friends” (di cui abbiamo qualche esempio qui, qui e qui)
i più eclatanti e frequenti che sento dire
mandatorio – per obbligatorio
confidente – per fiducioso
severità – per gravità
razionale – (… fondamento logico)
diciamo che i casi 1) e 2) sono parzialmente sbagliati, nel senso che sono solo delle traduzioni desuete ma formalmente corrette, infatti nella lingua corrente non mi verrebbe mai in mente di dire “sono confidente nella riuscita dell’operazione al ginocchio” oppure “per entrare in sala parto è mandatorio utilizzare gli appositi copriscarpe“
il 3) è già un po’ più fuori strada, anche se severità e gravità possono essere al limite dei sinonimi, l’uso tipico delle due parole direi che sia abbastanza diverso
il caso 4) è comico… il termine inglese “rationale” si traduce “fondamento logico“, non si può tradurre “il razionale”, perché non esiste tale sostantivo in italiano con tale significato… nella lingua contemporanea, che maltratta l’italiano con un inglese mal conosciuto, emergono queste e altre storture.
Siccome mi capita di sentir parlare di “refactoring” o “rifattorizzare” a ogni dannata modifica, giova ricordare che la pratica in oggetto non riguarda la correzione degli errori di codice e/o di analisi, bensì è quella volta a ridurre debito tecnico…
Era l’estate 1981 se non erro. Quella del dramma del piccolo Alfredo caduto e morto in un pozzo a Vermicino, estate che rimane a lungo nella memoria, si attacca per emozioni, colori, ansie, drammaticità.
Spesso ero a cena da mia nonna, sul medesimo piano della palazzina a San Lazzaro, e concludevamo il pasto con l’anguria. Segnava la fine della serata con un tramonto che durava tanto, mi sembrava infinito.
A fine agosto si accorciava e subentravano le nubi, e i temporali, a volte (poche) erano violenti e spettacolari e incutevano timori, tanto che mettevamo le candele di San Biagio sulla finestra pregando la clemenza meteo.
Gesti e scaramanzia che scompaiono. Ma rimangono nella memoria insieme ai fulmini che coprivano enormi porzioni di cielo, e al rumore sordo e imponente dei tuoni.
Tornando a casa stasera ho visto gli stessi fulmini, larghi come tutto il cielo visibile.
Da questo post visto su LinkedIn riemerge prepotente la visione di questa società votata al consenso in cui critiche e dissenso sono viste come “seccature”
Sui social network non esiste il “dislike“, esistono varie gradazioni di consenso, al massimo esiste il dubbio.
Sul gigante dei social network poi ci sono delle reazioni che coinvolgono le emozioni negative, ma non esprimono mai in modo diretto un dissenso nei confronti del contenuto pubblicato.
Insomma, in questa visione della società, si può solo essere d’accordo, più o meno.
Chi si pone in atteggiamento critico è un “rompiballe“, è uno che non lascia lavorare i “positivi”, perché chi “lavora” è positivo e non ammette dissenso e critiche, non ha “tempo da perdere”
La realtà poi ci mostra che questa tendenza porta a:
assuefazione alla mancanza di una visione critica;
conseguente creazione di menti attitudinalmenteincapaci di vedere i problemi in anticipo;
assenza di risultati concreti e positivi: infatti la mancanza di una visione critica porta (vedi punto 2) a dei disastri inevitabili, non solo per l’entropia generale delle “cose del mondo“, ma soprattutto per la cronica mancanza di organizzazione (mancanza che viene comodamente mascherata dai famigerati problemi di comunicazionee tana-libera-tutti).
Scagliarsi contro i social media non serve, bensì da essi si ha il punto di vista privilegiato sulla società che involve:
aziende che esaltano qualunque minimo passo come se fosse la scoperta del Bosone di Higgs, e poi nascondono nell’oblìo più totale e imbarazzato piccole sconfitte ed emorragie del personale;
politici de noantri che hanno sorpassato la dialettica degli sterili litigi con un “lasciateci lavorare” salvo poi lasciare tutto come è
un ponte crollato a Genova l’estate scorsa non solo non è stato ricostruito, ma i suoi monconi sono ancora lì;
l’evasione fiscale è ancora lì, viva e vegeta, grassa come parecchie manovre finanziarie;
il “capo del mondo“, ovvero il presidente della nazione che vuole essere la guida per tutte le altre, è un signore che prende in giro via Twitter altri politici e capi di stato, usando la stessa moderazione che potrebbe avere una mia figlia alla scuole elementari (temo anche meno)
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